Volevo essere il figlio di Giulio Andreotti o di Report, gli chef e le guide



È difficile, guardando la prima puntata della nuova stagione di Report, non ripensare allo sketch di Massimo Troisi che avrebbe voluto essere il figlio di Giulio Andreotti: sono 40 anni che sta là e non si è mai accorto di niente. Pensa che pacchia la vita del figlio.
Non mi meravigliano le reazioni delle verginelle che cadono dal pero, gli ingenui, che spesso sono dei cinici le cui soglie di tolleranza son crollate sotto i piedi e che ti rispondono: embè?
Già, quindi? Ma perché il sistema lavorativo in cui è immerso Iovene è molto diverso? O anche quello è fatto di relazioni, amici degli amici, sponsor, do ut des, con innesti a gamba tesa della politica? Cioè, uno dei problemi è l’editoria di settore o l’editoria tutta?
Quello che è il sistema enogastronomia descritto ieri non è altro che il sistema Italia, dove per ottenere qualcosa devi chiedere il piacere a qualcuno, dove oggi con difficoltà si discute al Senato una legge sulle lobby e a te conviene giocare al calcetto. Forzando un po’ il paragone, anche nell’enogastronomia si apre un piccolo spazio politico con adeguato tornaconto: i cinquestelle capitanati da Visintin.

Dice che ci sarà un seguito, che Iovene setaccerà il mondo dei food-blogger. Be’, facile prevedere cosa dirà. Alla fine della puntata e della giostra quello che emerge è la distanza siderale che c’è tra rappresentazione di questo mondo, tutto lustrini e paillettes, e la realtà dove la maggior parte degli interpreti coinvolti fa, per utilizzare con esattezza le parole, una vita di merda di doppi turni e 14-16 ore di lavoro a 800 euro al mese. Quando sei cuoco in una brigata. Adesso pensate ad un cameriere o ad un sommelier, se li trovate.
Fate il salto del fosso e chiedete ad un collaboratore di un giornale o di un multiblog di successo quanto lo pagano per i suoi pezzi. Andiamo dai 30 euro al gratis, e ora viveteci. Vi vien da ridere o da piangere? Ultimamente hanno trattato il tema Cernilli con il codice etico e Giancarlo Gariglio che si è accorto dei ladri di polli e che non c’è ricambio generazionale nel giornalismo di settore. Ben tornati da Marte per usare le parole di Beppe Visintin. Il tema è vecchio di almeno dieci anni, sull’argomento ho ascoltato fiumi di parole non da colleghi della mia generazione, ma da quelli della generazione prima, dai 50enni. Ma ricordo anche le ottime riflessioni di Paolo De Cristofaro che poi finirono su Dagospia.

E alla fine con chi ce la dovremmo prendere? Con l’hobbysta, il dopolavorista che nei ritagli di tempo scrive un pezzo o la scheda di una guida che se va bene è inutile, al peggio è una marchetta a prezzo di saldi che vale una magnata e due foto su facebook? Con la casalinga di Voghera che si è messa in proprio e si è fatta il blog dopo che gli chef le hanno rubato lo spazio delle pubblicità e ti consigliano quale pasta devi usare? Ma a parte gli amici, e gli amici del ristoratore o dell’azienda vitivinicola, chi vuoi che li legga? Il resto del mondo sta su Tripadvisor e Vivino e questi adesso si magnano tutto o quasi.

Tutta una bolla gigantesca gonfiata ad arte che conviene a pochi, pochissimi. All’industria del cibo e del vino, ai grandi consorzi, ai marchi come Bmw, a quella manciata di chef che sono diventati brand ambassador, che vanno in televisione e che tengono corsi per futuri disoccupati, ai papi del giornalismo e della comunicazione. Il resto? Per uno che forse ce la fa, il resto è carne da macello, chi rinuncia e cambia vita, chi sceglie di essere l'ultile idiota e fare lo schiavo fino alla fine dei giorni.
Prima di aderire al partito dei cinquestelle del cibo e del vino rimane un’ultima domanda da farsi: ma rispetto a 50 anni fa, all’epoca dei Soldati, dei Brera e dei Veronelli, infine, si sta meglio o peggio?

posted by Mauro Erro @ 10:50,

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