Dall'Etna vedo Boca


Una delle cose più divertenti (e snervanti al tempo stesso per alcuni) del vino è la sua pervicace fuga, distanza, resistenza a qualsiasi regola, protocollo, formula o teorema provi ad ingabbiarlo. Puntualmente capita di stappare una bottiglia che smentirà le poche certezze che un degustatore fino a poco prima pensava di avere. E' inevitabile.
A proposito di ciò, da bevitore, nel tempo, con l'esperienza sul campo e il confronto con i colleghi avvinazzati, ho appuntato un paio di regole infallibili sulla bontà e la qualità del vino.
La prima è semplicissima: verificare se riesco a finire la bottiglia e come (con fatica, agilmente, senza accorgermene). La seconda, ancor più decisiva: se arrivato alla fine esclamo qualcosa del tipo cazzo è già finita?, vuol dire che quel vino mi è proprio piaciuto.

Lo so. Banale conclusione di un bevitore di vini. Mi sono rassegnato all'evidenza: al di là di qualsiasi teoria, il rapporto con il vino è individuale, filtrato dal proprio gusto. E il gusto è un insieme di tanti aspetti. 
Tanto per divertirci con un esempio e confondere le acque, direbbe Flaiano, e aggiungere nonsense su nonsense, raramente si parla della durata del rapporto con il vino. Il mio ideale sono un paio d'ore. Non di rado mi capita di presenziare a ritrovi orgiastici che impiegano dalle 5 alle 6 ore ininterrotte per svellere la pratica. Sarà che invecchio, ma ne esco sempre più fiaccato e sempre meno entusiasta. All'inverso non ho mai goduto particolarmente delle sveltine: quei cinque minuti di aperitivo davanti ad un bancone di un bar con tartine annesse m'intristiscono parecchio. Un'oretta, per me, è il tempo minimo.

Ieri leggevo questo interessante post di Antonio Boco che racconta della sindrome del Pian del Ciampolo. In sintesi: non è certo colpa del vino se noi degustatori abusiamo ed abbiamo le papille stanche; quindi, forse, bisognerebbe fare attenzione a non lasciarsi condizionare dalla ricerca di vini fin troppo scarichi. Ha perfettamente ragione. Così come, non ricordo chi lo scrisse, affermava che non tutte le sere abbiamo voglia di ascoltare Mozart. Qualche volta va benissimo Orietta Berti. E a proposito del Pian del Ciampolo, il "base" di casa Montevertine, ho bevuto uno squisito 2009 recentemente. Categoria Pesi piuma. Eccolo il bello del vino, la sua materia è multiforme e ti permette di raccontarlo con lo svolazzo finendo un po' dove ti pare. A Guglielmo Papaleo per esempio, di origini calabresi, nato a Middletown il 19 settembre del 1922, e meglio conosciuto con il nome di Willie Pep, 162 cm di altezza e 50 chili di peso. Fu campione del mondo dei pesi piuma dal '42 al '48 e nuovamente dal '49 al '51. E fin qui, niente più e niente meno di un pugile di talento. Ma c'è dell'altro: la notte dell'8 gennaio del '47 il campione del mondo è sul volo di linea che va da Miami a New York; l'aereo precipita, muoiono tutti, tranne uno. Lui. Come è possibile? Ha il corpo completamente maciullato, quando il manager, Lou Viscusi, lo va a trovare in ospedale, vede una mummia che rantola. Dopo sei mesi Gugliemo torna sul ring e riconquista il titolo. Willie "l'indistruttibile" Pep è morto nel 2006, a 84 anni. Ah, se qualcuno si sta chiedendo cosa c'entra? rispondo subito: stupore e meraviglia sono due cose che nel mio vino ci devono sempre essere.

Tornando ad Antonio Boco e alle sue riflessioni per quel che mi riguarda non è questione di peso, ma di quel punto di equilibrio tra densità ed energia e ritmo. Un'armonia che puoi ritrovare tanto nelle 700 pagine dei fratelli Karamazov quanto in un racconto di 10 di Raymond "asciugatutto" Carver. O, rimanendo al pugilato, cambiando categoria, passando ai pesi massimi: ritrovare nello Chateauneuf du Pape Reserve des Celestins di Bonneaux l'incontro tra George Foreman e Muhammad Alì a Kinshasa, the rumble in the jungle. Citare ciò che scrisse Norman Mailer ne La Sfida a proposito dell'incontro parlando del Satyricon 2012 di Luigi Tecce. Un aglianico da 15 gradi che libra e saltella come Alì. 

Volendo essere ancor più chiari su quel punto di equilibrio e di armonia tra densità ed energia e ritmo direi del Boca 2010 dei Barbaglia, nebbiolo del Nord Piemonte o dell'Etna rosso 2013 di Masseria Sette Porte. Che, sì, andrebbero conservati e aspettati, ma al mio gusto un buon vino lo è da subito molto spesso. E questi ultimi due lo sono e ogni volta che li bevo dico cazzo è già finita? E allora ne stappo subito un'altra.

posted by Mauro Erro @ 13:09,

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