La cantina è un mondo parallelo



L’appartamento dove vivevamo era dotato di una cantina in cui nessuno di noi era mai entrato. Secondo la forma del proprio cervello e l’idea che possedeva del mondo, ciascun componente della famiglia la disegnò nel modo in cui la immaginava.

La Famiglia che perse tempo, Maurizio Salabelle, ed. Quodlibet 

Uscito quest’anno per l’editore Quodlibet, nella collana Compagnia Extra curata da Ermanno Cavazzoni, La famiglia che perse tempo è il primo romanzo scritto nel 1987 da Maurizio Salabelle, lo scrittore scomparso prematuramente a 43 anni nel 2003, purtroppo troppo poco conosciuto. Un libro seminale e stratificato, nonostante siano solo 156 pagine, che racconta le città e le periferie in cui viviamo, le dinamiche di passaggio tra età, i rapporti con le persone che ci circondano, fatto di una scrittura piana, cristallina e leggera, ironica e dal registro surreale, ma d’inossidabile e incontrovertibile logica. Un libro ricco di contrasti, anche cromatici, a cui Salabelle ci sottopone continuamente, mentre la storia della famiglia che perde il tempo si snoda e gli orologi si muovono come impazziti, accelerando, rallentando o fermandosi a loro piacimento ché i periodi si ammalano o si perdono, intanto che la città dove vivono apparentemente cambia, muta, e i quartieri grigi o neri non si distinguono perché le strade hanno gli stessi nomi e la casa si disorienta a seconda degli umori e dai muri delle camere si stacca la carta fiorata

Ma il tempo, osserverebbe qualcuno, è anche un’unita di misura spaziale, basti ricordare le giornate piemontesi: la quantità di terreno arabile con una coppia di buoi in una giornata, pari a 3810 mq. Perdere tempo, quindi, equivale a perdere spazio. Per rimanere in Piemonte mi ha sempre colpito questo raffronto fotografico in cui si vede cosa è accaduto in 80 anni al paesaggio attorno al Santuario di Boca disegnato dall’Antonelli, con le vigne che vengono mangiate dai boschi. A svuotare quelle campagne ci hanno pensato le guerre e la successiva industrializzazione, le fabbriche che oggi sono enormi mostri di cemento abitati solo da fantasmi che aspettano Rumiz per raccontarsi. Il tema degli spazi e dei rapporti tra essi caro a Salabelle è, nel nostro specifico, il rapporto tra città e campagna, tra visione urbana e rurale. Non solo le migliori condizioni di vita delle campagne spingono un numero crescente di cittadini a ripopolarle, ridisegnandone i paesaggi secondo una visione urbana, ma il rapporto si determina nel continuo scambio, innanzitutto commerciale, e finanche urbanistico: se le cantine vanno via via scomparendo a vantaggio di box auto, che senso ha produrre vini da invecchiamento?
Ed è questo che penso ogni volta che scendo in cantina e prendo una delle sempre più poche bottiglie degli anni ’60: mi affaccio in un mondo che non c’è più. Sono quasi del tutto scomparse quelle vigne, quei sistemi di allevamento, quel modo di produrre vino. Un paradosso della modernità: abbiamo allungato le nostre vite rispetto a 50 anni fa, ma abbiamo accorciato la vita delle piante e dei vini che produciamo oggi. Benché cerchi di resistere, la campagna ha dovuto alterare i suoi tempi e si è dovuta in qualche modo adattare alla visione del produci-consuma-produci-consuma-produci-consuma… Purtroppo ai miei eredi potrò lasciare in cantina e trasmettere un numero sensibilmente minore di vini (e di memorie) rispetto a quelli che avrebbe potuto trasmettermi mio nonno. 

Ma le cantine, cantinole, sgabuzzini, non sono solo le depositarie delle mie memorie etiliche ma i ricordi di un’età lontana, di quando fanciullo sfidavo le mie paure – per dirla con Carmelo Bene – e seguendo la luce fioca di una pila andavo sottoterra a visitare un mondo immaginario. Uno spazio fatto di ombre e rumori che generavano sgomenti, mostri e fantasie. Un luogo depositario di cartoni pieni di Diabolik o Sturmtruppen o vecchi libri scolastici riempiti di dediche che sono frammenti di vita. Foto e lettere d’amore di qualche ex fidanzata, nastrini e biciclette arrugginite che si chiamavano Graziella, strumenti oggi non più attuali come una macchina da cucire Singer, rullini Kodak mai sviluppati, cose che mi ricordano chi sono e che oggi non sappiamo più dove mettere o che al massimo ricicliamo. E così, senza rendercene conto, si avvertono i sintomi di quella malattia che, qualche pagina dopo il riferimento alla cantina, coglie la famiglia protagonista del libro di Salabelle: il male della dimenticanza.
Coltivare la memoria e attraversare, tra fantasie e realtà, molteplici mondi possibili, sono alcuni dei motivi per cui è bene occuparsi di vino e di libri nutrendo le nostre cantine e alimentando le nostre librerie. 


ps. Segnalo sul blog di Paolo Nori questo scritto di Ermanno Cavazzoni; qui, su Il Mattino, Marco Ciriello e qui, se avete voglia, il podcast dell'ultima puntata di Rumore Bianco dedicata alla Famiglia che perse tempo.

posted by Mauro Erro @ 09:32,

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