Vade retro legno nuovo



Si fa troppa fatica, oggi, a bere un buon bicchiere. […] Se non si possiedono queste doti, toccherà bere non Barbera, ma un barberato qualunque, non un Barolo, ma una mistura affumicata, non un Dolcetto, ma un taglio zuccheroso che al quarto bicchiere denuncia l’odore della botte nuova.” 

Era già da un po’ che ragionavo sull’argomento e l’ultimo post di Fabio Rizzari mi ha spinto a mettere giù queste due righe sul peggiore dei difetti percepibili in un vino, secondo gli appassionati di oggi: tutti i sentori che riconducono all’utilizzo di botti nuove. 
Quanto alle considerazioni sul difetto in sé o il tentativo di circoscriverne i confini, vi invito a leggere, se non lo avete già fatto, il post citato perché in questa sede le mie considerazioni sono di altro tipo. 

Riflettevo su questo tipo d’insofferenza, intolleranza in alcuni tratti, che noto in molti appassionati e anche in alcuni colleghi, che ha le sue cause nell’uso non sempre delicato dei legni (e non solo) avvenuto negli anni ’80 e ’90, e che spinge alcuni a puntare il dito contro specifici tipi di legni che andrebbero banditi. Ed il legno per eccellenza di quegli anni è la tanto vituperata barrique, oggetto di strali e ingiurie. (Come se non si potessero percepire sentori da legno anche utilizzando legni di dimensioni o fogge diverse). 

Eppure, da un po’ di tempo a questa parte, io proprio non riesco a guardare agli anni ’80 e ’90 come il peggiore dei mondi (del vino) possibili. Tutt’altro. 
La maggiore consapevolezza che oggi è possibile riscontrare nell’utilizzo dei legni (quali essi siano, di qualsivoglia essenza, tostatura e grandezza) passa proprio attraverso quell’esperienza e quelle sperimentazioni, compresi eccessi ed errori da non ripetere. 

L’avversione al sentore di legno nuovo, quando eccessivo, è comprensibile. E non è una novità di oggi. Basta tornare al virgolettato che apre questo scritto. 
È tratto da Vini d’Italia di Veronelli del 1961 cui ho fatto riferimento più volte. Nello specifico, è una parte dell’introduzione al Piemonte scritta da Giovanni Arpino, di cui tornerò a parlare prossimamente. 
Il legno nuovo dava fastidio anche a lui, e non si trattava di barrique. 
Insomma, l’invito ad andare oltre la superficie roverosa come dice Rizzari, e valutare caso per caso, mi pare ancora la soluzione migliore.

posted by Mauro Erro @ 11:03,

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