Tengo Famiglia

Leo Longanesi


Dopo le ultime polemicuccie del nostro settore sugli accordi di Slowine e le consulenze di Luca Maroni, avevo preso a battere sui tasti selvaggiamente. D’altronde scrivere è innanzittutto un bisogno. Anche solo per chiarire i concetti nella propria testa. 
Poi mi sono reso conto che il pezzo non era efficace, incazzato si, ma anche con un velo di frustrazione e, ancor peggio, finiva con il calzarmi addosso il mantello dello stupido Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento. Del duro e puro e cose di questo genere. Cose che con l’avanzare dell’età mi provocano un certo imbarazzo e toccano il mio senso del pudore. 
Quale sia la realtà che abbiamo attorno, nel nostro settore come nel nostro paese, è sotto gli occhi di tutti. A maggior ragione nel campo dell’informazione. 

Alla fine ho pensato che sia molto più efficace riportare la frase di Leo Longanesi, colui che ha coniato un termine entrato, ahinoi con significati ben specifici, nel linguaggio comune. 

La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: Ho famiglia* 

Di quel pezzo inefficace riporto invece il finale. Che serve a me come promemoria.

Poi mi ricordo che una famiglia la tengo pure io e che se mai un giorno dovessi avere un figlio, lo stato italiano mi riconosce ancora la patria potestà per impartirgli qualche lezioncina. Pare che si possa ancora fare. Ho pensato tante volte a come potrei spiegare a mio figlio questa storia atavica tutta italiana del Tengo Famiglia. E ogni discorso provato non mi è mai parso ragionevole. Allo stesso tempo, peccare di viltà, far finta di niente, lasciare che il mio figlioletto lo scopra da solo vivendo e diventando adulto è una cosa che non mi fa dormire la notte quando ci penso. Diciamocela tutta: è una carognata. E quindi mi sa che alla fine gli dirò che onestà, indipendenza e dignità sono valori senza prezzo. Che qualche volta non bisogna solo dare il buon esempio, ma anche alzare la voce e farsi sentire. Gli dirò che non sarà solo, che forse sarà in minoranza, ma in buona compagnia, con i figli di camerieri, cuochi, enotecari, giornalisti che ogni giorno fanno il loro dovere. Insieme ad altri, figli di commesse, vigili urbani, architetti, di qualche disoccupato e tanti precari. 
E anche loro avranno una famiglia. 
Di persone perbene. 

 *26 novembre 1945, tratto da Parliamo dell’elefante

posted by Mauro Erro @ 13:59,

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