Naturalezza e naturalità del vino

Italia, 2011, natura morta

Ogni tanto mi diverto ad arzigogolare ragionamenti sul vino, sul suo lessico, su ciò che ne scaturisce, complice un bicchiere di vino, quello di troppo, vergandoli su carta, pubblicandoli a discapito di buona parte dei lettori che si annoieranno preferendo, all’arzigogolo, una più semplice nota degustativa con conseguente consiglio di una buona bottiglia a cui tirare il collo.

Nero Maccarj 2006, i Gulfi.
La nota poi la scrivo, promesso. Adesso sono in piena trance d’arzigogolo.

Con il termine naturalezza espressiva – coniato da Fabio Rizzari – ci riferiamo alle caratteristiche organolettiche, al “modo” di esprimersi di un determinato vino, quello che stiamo assaggiando. Nel tentativo di “spiegare” e riportare ogni sensazione avvertita in un quadro che, tenuto conto del vitigno utilizzato, del territorio, dell’uomo che lo produce, della variabile annata, riteniamo di sincero equilibrio. Complicato, certo, ma ci si può provare.

Quando, invece, ci riferiamo alla naturalità di un vino entriamo nel campo minato della produzione: ossia dei metodi con i quali un vino viene prodotto, sin dall’allevamento in vigna, che tendono all’utilizzo di prodotti naturali escludendo quelli di sintesi chimica.
Campo minato, dicevo: ad oggi, una vera e propria regolamentazione e definizione non esiste, per cui il discorso ha margini d’incertezza.

Lo snodo, però, è quando i due termini si sovrappongono, si confondono e ne scaturisce tout court che la naturale espressione di un vino stappata la bottiglia deriva dalla naturale conduzione della vigna e delle pratiche di cantina.

Che i due concetti siano legati è fuor di dubbio, però, attenzione.

Si potrebbe arrivare a degustare un vino con in mano una serie di regolette, di pratiche vinicole ed enologiche, giuste e non giuste, in base alle quali decidere, senza neanche usare naso e bocca, se si esprime in maniera naturale.
Una sorta di protocollo uguale e contrario a quello enologico dei Flying Makers tanto odiati, un modello uguale e contrario e altrettanto livellante che negherebbe il particolare della vigna, del territorio, dell’uomo, del cru: un modello omologante come quello che tanto critichiamo.

I due argomenti hanno molti punti di contatto, ma è bene anche saperli distinguere, e non confondere l’uno e l’altro, lasciando che le discussioni maturino, indipendentemente, per conto proprio.
Meglio soli, che male accompagnati.
a

posted by Mauro Erro @ 12:07,

1 Comments:

At 14 marzo 2011 alle ore 12:01, Anonymous Francesco Annibali said...

Hai fatto bene Mauro a sottolineare le differenze tra i due termini. Il punto è questo:
1 è possibile ottenere un vino con una naturalezza espressiva ricorrendo a scorciatoie di cantina?
2 Siamo proprio sicuri che sia sempre possibile individuare bicchiere alla mano le "scorciatoie di cantina"?

Solo gli idioti pensano che si tratti di aria fritta. Questo è il cuore del problema

 

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