La gioia del vino

Più so e più so di non sapere. Più penso di capire, più penso di non aver capito. Qualche anno fa ero intenzionato a diventare il più grande esperto di vini campani. Poi mi sono reso conto che non ci sarei potuto mai riuscire. Al di là delle limitate capacità personali (di tempo e di palato), per un semplice motivo. Stavo scoprendo Barolo, Brunello, il Pinot Nero e la Borgogna, il Riesling e la Mosella. No, non avrei mai potuto rinunciare a tutto quel ben di dio. Non potevo rimanere concentrato esclusivamente sui vini della mia regione e rinunciare a colmare la mia sete (in senso letterale e non) di conoscere e cercare di approfondire tutto il resto. Disperdersi e naufragare nel vino "altro". La gioia della scoperta, ogni giorno nuova, ogni giorno inaspettata. Una conferma dalla mia ultima, ennesima, trasferta parigina. Già la prima sera dal mio amico Armand, in uno dei miei ristoranti preferiti, tra i più carini ed accoglienti della Butte aux Cailles, nel 13° arrondissment. In realtà, a pensarci bene, non era la prima sera, il giorno prima avevo sbevazzato allegramente e con una certa soddisfazione (da cui forse l'amnesia) tra Les Fleurs (a pranzo) e Le Chateaubriand (la sera, dopo un' estenuante fila) i due locali del momento, entrambi sotto la direzione dello chef basco Inaki Aizpitarte. Il Bugey-Cerdon di Bottex, un delizioso ma non ben identificato, Touraine rouge base gamay, il Morgon di Foillard e per chiudere, in bellezza, dopo l'intermezzo-aperitivo con uno Cheverny blanc della Loira, una splendida bottiglia di Pinot Nero alsaziano, millesimo 2008, di Binner. Arrivo la sera dopo con voglia di Borgogna dal mio amico Armand che mi dissuade da un costoso Chambolle e, dopo avermi fatto assaggiare il Quincy di Rouzè (Sauv Blanc) ed l'Irancy (Pinot Noir) di Cantin, si convince a stapparmi il 1er Cru La Fussiere, mirabilis annata 2005, di Marc Bouthenet. Mi assicura che sarà più accessibile non solo nel prezzo ma anche nella beva, anche se ancora giovane pure questo, rispetto allo Chambolle che volevo "infanticidizzare" (neologismo con copyright). Appelation, per me, sconosciuta, Maranges è stata una rivelazione. Un vino duro che farebbe storcere il naso ed ancor più le papille all'amico Roberto*. Quanta bellezza ci può essere, però, nella durezza scolpita nel dna di un rosso come questo. Durezza che significa solidità, compostezza (a modo suo, ovviamente), rigidità non fine a se stessa. Il naso non è monolitico, ma vive, nel trascorrere dei minuti, regalando le vibrazioni necessarie a non far calare mai l'attenzione o perdere l'interesse. Anzi ti costringe a ritornare continuamente al bicchiere ed immergerci le narici nella speranza di coglierne nuove sfumature e sensazioni. Ed ogni volta, anche in minima parte, sempre ripagati da quel gesto. Al palato scorre scontroso, sì, proprio così, acido e fresco, verticale e profondo. Qualcuno parlerebbe di stratificazione, in perfetta corrispondenza e sintonia, aggiungo io, tra naso e bocca. La bottiglia finisce, il sogno no. Arriva subito dopo una bottiglia di Armagnac di fini anni ottanta, o forse primi novanta, "basta che siano passati almeno 15 anni" mi spiega Armand. I giorni successivi continuano le bevute, le serate, le scoperte. I vini biodinamici serviti al Tandem (altro incantevole bistrot della Butte) con produttori che, quasi tutti, hanno rinunciato alle loro appelation. VDT, vini da tavola, con nomi curiosi ed etichette stravaganti. He-ho, uvaggio bianco ed improbabile, quanto acido e nervoso, della Loria, Les Tetes de Chats, pinot nero, a pieno titolo, di Borgogna, dallo stile beverino e audace. Ogni tanto capita anche qualche bottiglia meno fortunata ed interessante, ma quando si cerca di provare cose sempre nuove ci può stare, è normale. Fino all'ultimo giorno sono stato tentato di tornare da Armand a comprare un po' di bottiglie di quel Maranges. Per portarle in Italia e riassaggiarlo, semmai, insieme a qualche amico Recchia**. Per condividerla con le persone a cui voglio bene. Perché alla fine altrimenti che senso avrebbe tutto questo. Ho desistito. Troppa la paura di rimanere deluso e rovinare quello splendido ricordo (oppure semplicemente quel "film" che mi ero fatto). Ma appena rientrato a Napoli ero già pentito di quella mia non scelta. Non si può rovinare un ricordo. Ed eccomi alla ricerca dei recapiti del produttore per vedere di procurarmene qualche cassa. Penso ad Armand, così come tanti altri personaggi della Butte (Pascal dell'Avant Gout Cote Cellier giusto per fare un altro nome) che ho incontrato e continuo ad incrociare nel mio peregrinare. Mi hanno aiutato a trovare un'altra conferma: si può fare a meno di facebook e dei tanti blog vinosi perché la gioia della scoperta quando la vivi per strada e sulla tua pelle ha decisamente tutto un altro gusto.

Fabio Cimmino

*Roberto Erro
**Mauro Erro & Giancarlo Marino
a

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posted by Mauro Erro @ 11:02,

1 Comments:

At 20 febbraio 2011 alle ore 23:00, Anonymous Anonimo said...

Che piacevole coincidenza.
Allora inizio a segnare sul tacquino di viaggio per il tre marzo prossimo qualche nome dal post, per gli altri attendo impaziente la mail!

claudiot

 

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