Fiorano 1967, Boncompagni Ludovisi

Guido da Siena

Molti anni, parecchie ore, qualche minuto: è il tempo che andrebbe concesso ad una Riserva di Biondi Santi per esprimersi. Sono le tappe dell’attesa: cantina, bottiglia che si sveglia finalmente dal suo lungo sonno, poi il bicchiere. E poi? Il miracolo. O forse è il trucco, per cui bisogna prenotare dopo vent’anni, la ricolmatura delle bottiglie e la sostituzione dei tappi.
Dunque, far respirare il vino nella bottiglia scolma (scolmare, ricolmare: che fatica!) almeno otto ore. Anche per gli anni, seguire le indicazioni della Casa: ancora un po’ di tempo per la riserva del 1977; quasi pronte la ‘57 e la ‘67; da bere ora la ‘69 e, perché no, quella del ‘46. Le annate eccezionalissime, cent’anni e più di vita, possono ancora aspettare. Per i minuti, contare piano piano fino a cento.
In questi casi il pregio (lo so, viene da pensare al prezzo) consiste essenzialmente nell’acquisizione, lentissima, di tutte le qualità distintive del vino. Allora, il racconto sarà, come è giusto, singolo, individuale, e finissimo. Le storie amano la fluidità della memoria, la sua liquida verità. Il racconto dei sorsi e dei profumi si intreccia, come le tessere di un mosaico, come i fili di un tappeto; partendo da lontano, può arrivare molto lontano. Può parlare anche di Storia, di Geografia, di Geologia, da qualche tempo pure di Meteorologia, ma in modi assai speciali. E, naturalmente, di arte, di poesia.

Altri vini, però, dopo un lungo periodo di riposo, non sempre quieto, si concedono solo per un breve oracolo a chi ha la fortuna di essere lì ad ascoltare. Certo, devono essere vini longevi pronti a sfidare gli anni, ma sono anche bottiglie qualche volta dimenticate, che riappaiono per caso e ti si mettono davanti al naso con tutte le loro storie. Come, per me, il Fiorano 1967 trovato per caso, nella sua bella bottiglia da 72 cl., in una insospettabile enoteca più di trent’anni dopo. Mi riferisco al rosso, il taglio bordolese che il principe Boncompagni Ludovisi concepì, con l’aiuto del dottor Palieri, innestando cabernet e merlot sulle viti della sua tenuta sull’Appia antica ad una quindicina di chilometri dall’Urbe; impiantando malvasia di Candia e semillon per ottenere anche un bianco e un vino da meditazione. Correva l’anno 1946: le vigne, fatta eccezione per qualche filare di merlot e di cabernet, furono poi spiantate per insondabili motivi nel 1998.
Nella mia memoria resta ancora vivida la deliziosa nota d’inchiostro, ritrovata in qualche Margaux, e la liquirizia, del tutto fusa ai sentori animali e a quelli di terra, come in un placido agguato nel folto del bosco; e poi la china, appena un’eco che porta novelle da oriente, tenuissime, di spezie e di giardini lontani. Nulla più di un ricordo ormai, ma saldo (mi appartiene), di una realtà condivisa una sera d’inverno insieme a Colum e Tonio, amici carissimi. Una specie di miracolo insomma (un altro) e una grossa fortuna. Con ancora un po’ più di fortuna sarebbe bello intrecciare il racconto dei vini del Greppo, del ‘46, del ‘67 ad esempio, con i Fiorano ‘77, ‘78, ‘82 (ma qualunque annata va bene: mi accontento). Oppure assaggiare per la prima volta il Fiorano Semillon. Le riserve dei bianchi, in diverse annate dal 1985 al 1995, dovrebbero essere ancora custodite, anche nel ricordo di un episodio dell’ultima guerra mondiale, come opere d’arte, preziose per la nostra memoria, nelle cantine della Rocca di Sassocorvaro nel Montefeltro. Un principe, un castello, il tesoro: proprio come nelle fiabe.
Alla morte di Palieri, dei vini della Tenuta Fiorano se ne occupò, fino a quando visse, Tancredi Biondi Santi. Alberico Boncompagni Ludovisi gli aveva inviato anni prima una breve lettera nella quale comunicava di aver assaggiato per la prima volta “il Suo famoso vino Brunello del 1946 […] un rosso maestoso, severo, maschio, medioevale, un primitivo senese per farne il paragone con l’arte da quella fatta e della stessa nativa parte d’Italia!”
La lettera, del 1966, compare per intero sul sito ufficiale dell’azienda Biondi Santi.
Per quest’anno è stato annunciato il reimpianto delle vigne di Fiorano. Se ne occuperà per conto degli Antinori, legati all’ultimo principe di Venosa da vincoli di parentela, Renzo Cotarella. Che senta queste sue parole: “La somministrazione alla terra di sostanze chimiche prodotte industrialmente non mi ha mai convinto, fin dalla mia età di sedici anni, ossia dal 1934.” Speriamo davvero se ne possa ricordare; altrimenti sarà piuttosto un rimpianto.
In fondo, il vino ci offre l’occasione di avere un po’ di gusto; di essere, almeno qualche volta, nel (momento) giusto.

Maurizio Arenare
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posted by Mauro Erro @ 16:50,

2 Comments:

At 25 febbraio 2011 alle ore 17:09, Anonymous Armando Castagno said...

Mai dire mai, Maurizio. E complimenti.

 
At 26 febbraio 2011 alle ore 01:26, Anonymous Anonimo said...

Complimenti per la bottiglia fortunosamente recuperata e, soprattutto, per lo scritto.
Lucio

 

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