Il gigante dai piedi di argilla

Vecchie casse in legno di Goudenband con la tradizionale marchiatura a fuoco Liefmans

Tutti i viaggi verso posti mai visitati sono sempre una scoperta; ma non sempre questa scoperta corrisponde alle aspettative. Anzi è meglio dire che quando si carica troppo l’attesa della scoperta questa porta con se delusioni o ridimensionamenti su ciò che sarebbe dovuto essere rispetto a ciò che realmente è. Ed è così che i raminghi viaggiatori brassicoli che sono cresciuti con il mito trappista si rendono conto che le sei sorelle sono diventate (tutte o quasi) un vero brand in grado di spingere all’inverosimile sul marketing e produrre tanti di quegli ettolitri da far impallidire le più commerciali delle birre. O che gli gnometti di Achouffe nelle Ardenne di artigianale non hanno neanche più il cappellino rosso a punta e hanno bisogno di 2 stabilimenti (uno per la produzione e uno per l’imbottigliamento e l’infustamento) con tanto di autocisterne di supporto.
Adesso siamo stati costretti ad aggiungere un altro doloroso tassello al mosaico della consapevolezza: quello sull’amata Liefmans.
Un appassionato di birra non è un vero appassionato se non ha mai visto in vita sua su un qualsiasi libro, di un qualsiasi autore, in una qualsiasi lingua, la foto di Rose Blancquaert-Merckx, meglio conosciuta come "Madame Rose", che incarta e controlla le bottiglie di Liefmans Goudenband. Nelle proporzioni brassicole Liefmans è sempre stato alle Oud Bruin come la Rodenbach lo è stata alle Flemish Red Ale.
Andare a visitare la Liefmans a Oudenarde (avete presente uno di quei paesini dove passa la classica di ciclismo del Giro delle Fiandre?) rappresentava quindi un invito a nozze, una chiamata nel paese di cuccagna, un bagno nella storia brassicola belga (quella vera).

Vasca di fermentazione aperta in pieno processo operativo

Ed effettivamente di bagno si è trattato. La fabbrica è estesa, il viale imponente e gli alti muri di mattoni rossi a faccia vista sembrano sottolinearne la grandiosità (ahinoi di un tempo che fu). Ma ad accoglierci non ci sono operai impegnati a lavoro, ne muletti o transpallet che vanno avanti e indietro a spostare pedane di bottiglie e fusti da impilare nei camion. Alla fine del lungo viale di ciottoli che si ferma dinanzi alle sponde della Schelda vi è solo Hector che ci farà prima da guida (dentro il birrificio), poi da publican (nel pub interno) e infine da gentilissimo padrone di casa (invitandoci ad una degustazione extra al Carillon, uno dei pub più famosi nel centro della cittadina).
Tutto è grande, tutto è maestoso ma tutto è fermo. Hector ci narra la storia del birrificio ma più che delle vicende di una fabbrica di birra ci sembra la storia di una nazione mitteleuropea che passa dal dominio di un invasore all’altro. Nel giro di pochi decenni la Liefmans, dopo la dipartita della dinastia principale che l’ha fondata, passa nelle mani di 5 diversi proprietari fino ad arrivare in quelle attuali della Duvel Moortgat. «Questi sono i tini dove avveniva la cotta, qui è dove si caricavano i malti e quello è il mulino che li macinava». Le parole di Hector sono tutte al passato, tutti i macchinari sono fermi, non ci sono i rumori della lavorazione. L’unica cosa che si sente è l’odore della fermentazione proveniente proprio dalla sala dove vi sono le vasche di fermentazione (una in funzione è l’altra vuota). Questa è l’unica fiammella di vita produttiva che siamo riusciti a scorgere. Fiammella messa poi a dura prova dalla presenza di un modernissimo impianto di trattamento posto a valle del processo prima del convogliamento nei fusti di maturazione: pastorizzata, filtrata e non più rifermentata in bottiglia!!!!!!

Interno di uno dei due grossi Ammostatori ormai in disuso

Notiamo noccioli di ciliegia sparsi sulle grate in prossimità di grossi fermentatori orizzontali da decine di ettolitri probabilmente posti per sviare l’attento osservatore dall’atavico dubbio dell’uso di sciroppi. Poi più nulla.
Un altro gigante è stato piegato, svuotato dall’interno, smembrato e distribuito in un raggio di 100 km. La cotta non si fa più li, l’imbottigliamento è stato decentralizzato (in nome dell’ottimizzazione del processo hanno detto di dire gli ingegneri della nuova proprietà). Annullata nella sua essenza, la Liefmans è riproposta solamente per vivere sfruttando la luce riflessa dei sui grandi fasti del passato. Tornati in patria siamo corsi a recuperare una bottiglia bella fresca fatta da mamma Duvel e lo sguardo si è subito rivolto al fondo della bottiglia: c’era solo qualche parvenza di rifermentazione in bottiglia, qualche scampolo di aggregato ma della classica torbidità nemmeno l’ombra. In bocca la birra faceva notare la sua recentissima data di imbottigliamento a causa di una (non usuale) bevibilità, da una rotondità forzata anche se non stucchevole e dalla mancanza di qualsiasi forma di spigolatura acida rappresentativa di questa oud bruin. Chi conosce le vecchie Goudenband sa. Sarà il tempo e i numeri a dirci se anche questa è una evoluzione del gusto o un’altra perdita da ricordare negli annali della memoria brassicola mondiale.

Francesco Immediata e Gianluca Polini
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posted by Mauro Erro @ 11:00,

1 Comments:

At 30 ottobre 2010 alle ore 20:33, Blogger Gabriele Ferrari said...

Non ho ancora assaggiato la Goudenband di nuovo corso, ma conosco e apprezzo molto quella che ancora mi capita di bere quando la trovo, dove la rotondità arriva solo dopo almeno 3 o 4 anni di bottiglia, e dove l'acidità è comunque il filo conduttore.
Temo proprio che sarà un'altra perdita.

 

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