Gola o lussuria?

10/08

La bella Giovanna*, i suoi amanti e il grand’albero.
Non esistono più i contadini!
Il fascino dei contrari: la caponata.

Incontro preliminare con i vini etnei: i bianchi.

Le Crispelle di San Giuseppe.


Ho ancora nella mente le immagini e i ricordi che l’Etna mi ha placidamente lasciato quando discendiamo le strette viuzze che portano al centro di Sant’Alfio: vedo di là dei muretti le prime vigne.

È a Sant’Alfio che scopro di Giovanna. Pare non fosse solo bella, ma anche spregiudicata, ricca di fascino, intelligente e saggia: scoprirò in seguito che anche uno dei figli di Santa Brigida di Svezia fu irretito dalle sue grazie, tanto da provocare le ire della Santa madre che in una lettera indirizzata al Vescovo di Napoli non esiterà, dimenticandosi per un attimo della sua santità, a definirla con epiteti poco gentili.
Fu, sicuramente, scaltra.
D’altra parte, per avere quattro mariti, essere accusata di aver ordinato l’uccisione del primo ed essere assolta, avere un numero imprecisato di amanti che, in buona parte usciti dal talamo, finivano nel fossato del Castel dell'Ovo a Napoli, passarla liscia e regnare, prima regina del Sud, per un certo numeri di anni, un poco scaltri bisogna esserlo.
La leggenda vuole che Giovanna per ripararsi una notte da un forte temporale, si fosse rifugiata all’interno di un castagno insieme a cento cavalieri. È da questa storia che l’albero che ho dinnanzi, il più antico d’Europa con i suoi quattromila anni e il più grande del mondo - un tempo la sua circonferenza superava i cinquanta metri - prende il nome appunto di Castagno dei cento cavalli. Se questo Castagno potesse vergare su carta ciò che vide accadere quella notte, al confronto la storia di Lady Chatterley sarebbe una favola per bambini. I bambini d’un tempo, ovviamente.

Dietro il Castagno vedo un casolare cadente e malridotto con innanzi un certo numero di filari di vigne. Incuriosito mi avvicino, ed entrando do una voce. Mi appare un sessantino in pantaloncini, pancia pronunciata e mani sporche di terra.
“Produce vino?”
“E anche frutta e verdura. Lì c’è l’orto”, indicandomi un imprecisato angolo di terra.
“Lo vende?”
“1 e 20 il litro. Volete assaggiare?”

“Certo.”

Mentre spilla il rosso da una botte più vecchia di lui, prendo a parlare.
“Che uva è?”
“Nerello, barbera…”

“E il bianco?”

“Chiddu ca trovo, Minnella, Carricante…”

“E come li produce?”

Mi guarda stranito.
“In vigna che fa?”

“Ah, ci metto il verde…”

“Il verderame?”

"Sissignore. Poi quello blu e poi…”

"Va bene, ho capito.”

Non osai chiedergli quello che faceva in cantina. Il rosso era poco più di un vinello acidulo, metallico e, per giunta, frizzante. Il bianco, leggermente migliore, freddo era macari bevibile. Ne prendemmo una bottiglia.
Sovente, girando per vigne, mi è capitato di constatare che i contadini, una categoria sociale (e culturale) un tempo esistita, oramai sono una razza in estinzione. Rappresentano solo un’idea romantica. La chimica, gli enotecnici, i rappresentanti di prodotti chimici per l’agricoltura oramai hanno raggiunto tutti gli angoli accessibili all’uomo e alla vigna, conquistandoli. I contadini, quelli veri, rappresentano un miracolo se ne incontri uno e le brutte copie di oggi, in vigna ci vanno solo per fare “i trattamenti”.

Lasciamo Sant’Alfio, il Castagno e le leggende che lo circondano per ritornare verso casa. Ed è a Fornazzo, una frazione di Milo, che ci fermiamo: sagra della salsiccia e del pane condito, recita uno striscione sulle nostre teste. Le sagre a me non piacciono, ma a quest’ora trovare un ristorante non stracolmo è cosa assai improbabile. D’altronde le pietanze paiono casarecce e la caciara sopportabile.
Melanzane, peperoni rossi e peperoni gialli, pomidori, cipolla, aglio, sedano, aceto, zucchero, basilico, capperi, pinoli, e pure qualche sottaceto e forse pure nu puccurillo di uva passa. Mamma mia benedetta! Tanta roba tutta assieme e tanto equilibrio, fritto senza essere sgraziato, ma leggiadro, zucchero e aceto assieme che fanno all’amore, dolce e agro contemporaneamente e mai fastidioso, sapido quanto basta: la caponata. E chi la scorda più!
Promemoria: assaggiare quante più caponate possibili e decretare la vincitrice!
E se ai cento cavalieri e amanti avessero portato durante quel temporale un piatto di caponata, a quale peccato avrebbero ceduto dovendo scegliere? La lussuria o la gola?

A Milo, prima di tornare a casa e prepararmi per l’indomani quando inizierò il mio giro per cantine partendo dal Barone di Villagrande, ci aspetta un’altra sagra: stavolta vino. Sarà una piccola delusione, rincuorata da una dolce scoperta. Le Crispelle di San Giuseppe: bastoncini di riso fritti, cosparsi di miele, spolverati da zucchero a velo e cannella. Una delizia.
Tornerò a casa sazio e gaio, ripensando al vincitore tra i vini: un bianco della azienda Scilio di Valle Galfina. Se mi riuscirà, li andrò a trovare.

Jimi Hendrix - Voodoo Child

Nota: La foto del Castagno è tratta da Internet

* Giovanna I d'Angio (Napoli 1327 - Muro Lucano, 12 maggio 1382)

posted by Mauro Erro @ 19:14,

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