Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2004, Villa Diamante

Ci sono persone che per quanto si sforzino proprio non riescono. Non riescono a cogliere l’elemento simbolico del vino, quello scarto di lato che rincretinisce milioni di appassionati in tutto il mondo. Favoleggiano, arringando le folle da celebrati pulpiti, tentando di miscelare discorsi che ad un orecchio attento appaiono stridenti, di fondere tra loro termini come cultura e mercato (da cui si potrebbe affermare che Berlusconi è il più grande intellettuale della fine del Novecento e di questo scorcio del nuovo millennio) o di trasformare il significato letterale di talune parole (quasi che mi viene la voglia di segnalare cotanto impegno all’Accademia della Crusca) per cui convivialità diventa faciloneria, approssimazione, superficialità. La capacità di mescolare con tanta confusione discorsi tra loro così differenti avendo l’intuito e l’abilità di dar loro una parvenza di logica (più o meno, spesso la logica non c’è) è propria degli arringa-popoli (e forse qui il Berlusca ci calza meglio): si sceglie un piedistallo e s’inizia a fare gli opinionisti, dimenticandosi il racconto.
È questo il momento del trapasso, o almeno lo spero, del passaggio, complice la crisi economica che si è abbattuta sul mondo occidentale, dalla moda alla cultura. Attorno a me vedo tanti giovani motivati che si spingono a studiare e sviscerare l’argomento vino con tanta curiosità e passione che prima neanche si poteva immaginare. Le persone ormai di vini celebrati e pluripremiati ne hanno bevuti a iosa arrivando alla conclusione che un gran bel nome o brand da 50, 100 euro la bottiglia, può tranquillamente riposare sullo scaffale: prender polvere e amen, perché se ne può fare a meno. La semplicità, il giusto prezzo, un vino schietto è ciò che più le persone vogliono. Ah certo i nostalgici, quelli vissuti nel turbinio dei ruggenti anni novanta, quelli che si sono arricchiti, quei produttori che oggi battono i pugni (e li batterebbero ovunque) rinnegando e maledicendo le riviste, le guide, le degustazioni, le sponsorizzazioni dimenticando che fino a qualche anno fa rincorrevano più veloci di Carl Lewis premi e riconoscimenti (a me non risulta che curatori di Guide e direttori di riviste abbiano mai puntato una pistola alla tempia di nessuno) o quegli enologi celebratissimi che a tavola parlano male dei loro vini, di quei vini “pacchiani, inconcepibili e inutili”, nonché i giornalisti-imprenditori, beh, di questi ne incontreremo ancora. Il vento è cambiato, persino in America, e le banderuole al vento cambiano direzione: cercano di aggrapparsi e vivere il cambiamento. Ma per quanto si sforzino proprio non riescono.
Eppure non bisogna essere cattivi con loro, non riconoscere il ruolo che determinate persone hanno avuto, soprattutto nel tirar fuori il vino Italiano dalla grave crisi degli anni ottanta dopo lo scandalo metanolo. Bisogna solo avere il giusto sentimento di pietade e compassione come lo si può avere verso quegli arzilli settantenni che rincorrono le sottane delle giovani ventenni: tentano in tutti modi di sentirsi vivi, non volendo prendere coscienza di appartenere al passato.
Ecco, sono il passato, e non vale la pena volgere lo sguardo indietro, tutt’al più prendere ciò che di buono hanno fatto e ci hanno lasciato.
Ah già, il vino. Sono di parte, è meglio dirlo subito. È uno dei miei vini del cuore, il mio Fiano preferito forse solo per un motivo prettamente affettivo. Giallo oro, naso ampio e intenso che spazia dalle note minerali, accenni di castagna e nocciola, note affumicate, frutta matura con nuance esotiche fino ai fiori bianchi e alle spezie dolci. Al palato colpisce per l’ingresso soave ed elegante, morbido come il burro fuso ed allo stesso tempo vivo, di una giovanile verve, di un’acidità presente e di una mineralità affascinante. Non vede legni di alcun tipo, proviene da una vecchia vigna che presenta piante vecchie di cinquant’anni; circa seimila bottiglie e costa 17, 18 euro o giù di lì.
The end, The Doors.

P.S. Segnalo, a proposito di questi discorsi, un bellissimo scritto apparso sul blog divino scrivere a firma del caro amico Luigi Metropoli. Buona lettura.

posted by Mauro Erro @ 12:46,

2 Comments:

At 23 luglio 2008 alle ore 13:56, Blogger claudioT said...

Quando ho iniziato i corsi ais nel 2002, ed ancor prima con gli incontri di enotime sul vino pensavo di fare qualcosa di tendenza e la cosa un pò mi infastidiva, ma mi consolavo pensando che questa mia passione mi avrebbe portato dove chi seguiva solo una moda non sarebbe arrivato.
E' così è stato!
Allo stesso modo i "vinoni" da concorso o da guida internazionale sono ormai fuori mercato dopo aver cavalcato l'onda del consumismo stupido o sono richiesti solo dai pochi (oggi russi più che americani...) che possano comprarsi uno status più che un piacere edonistico e di socialità.
Ben vengano le stagflazioni di questi tempi se si ritorna a riscoprire le origini della vita e tutta la sua semplicità, anche se spero finisca il più presto possibile...
Quindi in alto i calici al Vigna della Congregazione che si presenta con i muscoli di un nuotatore professionista ben definiti e assolutamente proporzionali ed eleganti e non come un goffo culturista che terminata l'attività deve arrendersi al suo flaccidume o essere schiavo del suo corpo!

 
At 23 luglio 2008 alle ore 14:22, Blogger Mauro Erro said...

Già, hai detto benissimo. Taluni confondono lo status symbol con il valore simbolico del vino. Ma rincuoriamoci, oramai sono sempre più pochi: quelli che un tempo erano i figli della Milano da bere.

 

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